IL LINGUAGGIO DEL PIANTO: cosa ci racconta davvero il nostro bambino
- Francesca Etzi

- 27 ott
- Tempo di lettura: 5 min
C’è sicuramente un momento nella vita di ogni mamma in cui vorremmo essere da tutta altra parte e non con un bimbo in braccio che piange e non sappiamo perché.
Ti è mai successo?
Ricordo bene i primi mesi con mio figlio: bastava che iniziasse a piangere e il panico saliva. Quando nessuna strategia sembra funzionare e ti senti sola, con una piccola vita tra le mani, ti viene solo voglia di scappare.
Il pianto attiva nel nostro cervello un meccanismo di allarme. I nostri sistemi di protezione si accendono, cercando risposte. Ma se il pianto continua, emergono altri sentimenti: fallimento, inadeguatezza, dubbi sul nostro essere mamme.
Ti rassicuro, non sei sola! Tutte, e dico tutte, abbiamo vissuto quella sensazione durante la nostra vita.

Perché i bambini piangono?
Il mio cervello però ha smesso di fare tutte queste congetture quando ho capito che l’effetto che il pianto di mio figlio aveva su di me era naturale, non ero sbagliata!
Inoltre, ho razionalizzato che il pianto era solo il suo modo di esprimere un bisogno, fisiologico (fame, sonno, dolori, fastidi) o emotivo (bisogno di contatto, di sentirsi vicino, di tranquillità, di bassa stimolazione). Quello per me è stato il momento della svolta. Il pianto era solo uno strumento, l’unico, che lui aveva per comunicare con me. “Ho fame”, “Mi fa male qui”, “Ho sonno”, “Sono stanco”, “ti voglio vicino”. Come reagiresti se il tuo neonato sapesse esprimere questi bisogni a parole? Cercheresti di soddisfare quel bisogno. Ma il problema nasce quando non capiamo l’origine di quel pianto.
Ma quanti e quali tipologie di pianto conosciamo?
Secondo il Dott. Berry Brazelton, esistono 6 diverse tipologie di pianto: di dolore, di fame, da colica, di noia, di disagio e di scarico delle tensioni. Ogni mamma, con il tempo, impara a distinguere e riconoscere questi segnali. Ma il primo passo è sempre lo stesso: ascoltare. Osservare. Affidarsi all'intuizione.

Spesso ci si trova tra due estremi: far smettere subito il pianto, oppure lasciarlo piangere "fino a stancarsi". Ma quest'ultima non è mai un'opzione valida. La neuroscienza ha dimostrato che il pianto del bambino inascoltato a lungo termine crea delle interruzioni tra le sinapsi (i collegamenti tra le cellule nervose) che sono invece importantissime per il corretto funzionamento del cervello. Durante il pianto, il corpo rilascia cortisolo che può creare diversi effetti a cascata tra i quali:
Alterazioni del nervo vago, con possibili disturbi intestinali
Difficoltà nell'esprimere sentimenti e fiducia
Bassa autostima e insicurezza nell'età adulta
In sostanza, lasciare piangere i bambini avrà quindi conseguenze anche negli adulti che diventeranno, meno fiduciosi negli altri, meno sicuri di se stessi, incapaci di chiede aiuto per la paura di sentirsi inascoltati.
Al contrario, rispondere ai bisogni del bambino nutre la sua fiducia, rafforza il legame e favorisce la sua autonomia futura.
A volte quello di cui hanno bisogno è solamente piangere, per sfogare le tensioni, per rilasciare lo stress, e farlo tra le braccia di chi amano di più al mondo, la mamma e il papà, sarà per loro una rassicurazione. D’altronde, non è così anche per noi adulti quando ci diamo il permesso di piangere?
Episodi di pianto “frequente” nei bambini, sono ancora più probabili quando la donna in gravidanza ha affrontato periodi di stress, preoccupazioni o episodi traumatici che hanno rilasciato cortisolo, che ha viaggiato nella placenta fino a influenzare lo sviluppo del cervello del bambino. In questi casi, si crea un circolo: il pianto aumenta l'ansia materna, che a sua volta amplifica l'agitazione del bambino. Il massaggio infantile in questo senso può aiutare:
Rispondendo al bisogno di contatto amorevole del bambino
Rafforzando l’attaccamento sicuro
Alleviando i fastidi intestinali che le tensioni da pianto possono provocare
Se vuoi saperne di più, trovi alcune informazioni nei due articoli del blog:
Perché fa così male ascoltarlo (e non siamo sbagliate per questo)
Ti sei mai chiesta perché il pianto ti smuove così tanto?
Forse quando piangevi da piccola ti dicevano “Non c’è bisogno di piangere, non è successo nulla” e cosi hai iniziato a credere che il pianto non fosse un modo di comunicare i tuoi sentimenti.
Oppure “piangi sempre senza motivo” e quindi in te si è attivato un sistema di protezione che vede nel pianto un segnale di debolezza. Le donne forti non piangono, continui a ripeterti!
Oppure è il parere della società e della cultura occidentale, che vede il pianto come un fattore di disturbo. Quante volte ti sei vergognata che il tuo bambino piangesse in pubblico e tu non riuscissi a calmarlo?
I motivi per cui il pianto può attivare dentro di noi un sentimento di difesa o di allarme sono molteplici, a partire dal vissuto nella nostra infanzia fino ad arrivare a quello che ci impone la società. Ma la verità è che il pianto non è un fallimento. È un messaggio. E tu non sei sbagliata se ti fa soffrire. Sei umana.

4 strumenti per accompagnare il pianto
“Quando ho smesso di pensare che dovevo risolvere... ho iniziato a vedere mio figlio. E lui, me.”
Cosa puoi fare quindi quando tuo figlio inizia a piangere o ad agitarsi e lamentarsi?
Ecco 4 consigli pratici che puoi seguire fin da subito:
1 – RESPIRA. Fermati. Anche solo pochi secondi. Inspira profondamente, lascia andare l’aria lentamente. Il respiro è il tuo primo alleato per contrastare il panico e restare presente. Osserva cosa provi: frustrazione? Senso di impotenza? Dare un nome alle emozioni è un primo passo per accoglierle.
2 – ASCOLTA. Porta l’attenzione su tuo figlio. Non devi capire tutto subito. Ascolta il suo corpo, i suoni, le lacrime. Ha fame? Ha freddo? Vuole solo stare tra le tue braccia? L’ascolto è più di un gesto: è una disposizione d’animo. Prova a restare in silenzio, con lui, anche solo per un momento.
3 – GUARDA. Cerca il suo sguardo. O offrigli il tuo. Se non riesce a incontrarti con gli occhi, il contatto fisico può essere un ponte: una carezza lenta, una mano che contiene. Rallenta tutto. Riduci le luci, i rumori, lo stimolo. La tua presenza calma può diventare la sua.
4 – CONFORTA. Tieni tuo figlio tra le braccia, cullalo, parlagli piano. A volte il bisogno è semplicemente quello di essere contenuto. Non sempre il pianto si fermerà subito. Ma se tu resti connessa, centrata, quel momento avrà un senso profondo per entrambi.
Infine, ci sono anche degli strumenti pratici che ti possono aiutare a ridurre le occasioni di pianto. Il babywearing è uno di questi. E’ stato dimostrato che i bambini portati piangono in percentuale molto meno dei bambini non portati. Questo è spiegabile con due motivi principali. Il primo è che il contatto con un genitore calma. A livello ormonale vengono rilasciati gli ormoni del benessere che creano quindi uno stato di tranquillità e serenità nel bambino che si sente al sicuro. Il secondo motivo è che portando in fascia, impariamo a stare attenti ai segnali che i bambini ci mandano, per cui rispondiamo prima, anticipando il pianto!
Portare ti aiuta a conoscere meglio tuo figlio, e a farlo sentire contenuto, accolto, visto.
Per cui ti invito a provare questo strumento pratico!
Chiudo con questo invito che ti chiedo di tenere a mente!
“Se oggi tuo figlio piange, non correre subito a farlo smettere. Fermati un attimo. E prova ad ascoltare, prima te e poi lui. C’è un messaggio che ha solo te come destinatario.”
Questo articolo è stato scritto basandomi sul contenuto di questi due libri:
“Massaggio al bambino messaggio d’amore” di Vimala McClure
“Il bambino da 0 a 3 anni” di T. Berry Brazelton





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